martedì 8 settembre 2009

IL MONDO LATERALE

Una serata normale. Ancora non è uscito nulla dalla TV, ma mi sono rimasti i confetti che mi ha dato Rufus due giorni fa. Ha i capelli unti, Rufus, e due baffi decisamente fuori luogo. Ma si sa, gli agenti di Uther sono così.
I miei occhi sono puntati sulle pieghe del soffitto, che variano sul grigio. Ovviamente il soffitto non ha pieghe, ma i miei nemici mi aiutano a vederle. Non faccio fatica a crederci, anche se sono un agente infiltrato e conosco il Mondo Laterale.Quando la Rete di Hope mi ha chiesto di indagare su alcuni dei personaggi più importanti della Sfera Segreta, in quello che ormai nell’Etere viene chiamato da tutti Mondo Laterale, mi è sembrata una proposta attraente. Anzi, pensavo seriamente di essere al punto di svolta della mia vita.

Trentaquattrenne inutile reietto sociale, senza famiglia ed affetti, l’unica cosa che mi era parsa auspicabile per dare un po’ di significato a un’esistenza altrimenti inutile era quella di combattere la Sfera Segreta, la sotterranea cospirazione dei potenti dediti ad annientare le classi sociali nell’ombra.
Un tempo pensavo fosse tutto inarrivabile, come combattere contro il vento. Percepivo il lento ma inesorabile muoversi degli ingranaggi di un macchinario terribile, ma credevo fosse impossibile dare una forma al Nemico. Poi è arrivata Lucy.
Occhi di ghiaccio, piccola ma con le forme adatte, sempre vestita di rosso. Non gli importava di dare nell’occhio nel mondo reale, ma quando entrava sull’altro livello era una talpa. Irraggiungibile. Sempre davanti agli altri di una spanna. Letale nella sua dolcezza, amorevole nella sua crudeltà. Era Lucy perché amava Lucifero il Ribelle, il primo Uomo Libero.
Lucy è sempre stata un’amica, una di quelle con cui non puoi fare sesso senza innamorartene. Per questo non siamo mai andati a letto insieme. La sera che la incontrai in quel bar sull’autostrada ci capimmo all’istante, e allora mi parlò dei suoi sogni, delle Fenditure tra i Mondi, e del Potere del Cartaio.
Il Cartaio è colui che può cambiare le regole dei mondi, e crearne uno suo per raggiungere ciò che nel Mondo Reale non potrebbe mai raggiungere. Il potere di un Cartaio è immenso, ma non onnipotente. Anche se detta lui le regole, gli altri possono sempre muoversi liberamente nel suo mondo, e naturalmente infrangerle. Azathot era il Cartaio del Mondo Laterale, e la Rete di Hope era il suo progetto.
Il soffitto con le pieghe appartiene al Grand Hotel Joice, nella Città degli Uomini Bene. La mia stanza é al 54esimo piano, con una vetrata bellissima che da sulle luci infinite delle strade. Uther potrebbe essere da qualche parte sopra di me. Magari é lui quello che piscia nel cesso al piano di sopra. Se così fosse stato potrei chiamare la Centrale, chiedere una fenditura tra il soffitto e il pavimento, salire sull’armadio e saltare davanti a lui per staccargli di netto l’uccello. Ma non posso rischiare. Fino a che ci riesco, devo far credere ai suoi uomini di essere uno di loro. E poi sono completamente andato.
Ma questa sera il pesce grosso non é Uther. Stanotte deve arrivare un ospite importante, e la Rete é convinta che si tratti di Merlino. Quello vero intendo, non uno dei suoi innumerevoli sosia.
Il Potere Persona, chiamato anche Magus oppure Grande Corporazione, Merlino, nato dalla mitologia anglosassone per identificare colui che è al di sopra di tutti, e guarda negli occhi del drago. Merlino era il riflesso della Fame di Potere del Mondo Reale, la creatura capace di comprimere le pareti di ogni Universo e farlo collassare. Il fattore della discordia dell’equilibrio.
Io ero solo un esca e lo sapevo bene. Non che m’importasse granché. Ormai ero partito, e a me andava bene così. Sapevo che i piani della rete nascondevano trappole, ed ero pronto ad accettarle per le riuscita del Progetto.
Le pieghe erano andate. Adesso viaggio tra i mondi inferiori, quelli a metà strada tra la chimica del carbonio e quella del sogno. Vedo fumi colorati che prendono la forma di squillo vogliose di succhiarmi. Chiudo gli occhi e cerco di trasformare le mie visioni in surrogati di Lucy. É sbagliato, ma non posso ingannarmi ancora con le solite storie sulla correttezza. Lucy é la mia dea, ed io la desidero più di ogni altra cosa.
Lucy é colei che avrebbe ucciso Merlino, se io fossi riuscito a distrarre abbastanza Uther ed a portarla a tiro. L’idea mi spaventa a tal punto che m’ingoio un altro confetto di Rufus. Sono le 11, e quindi é presto, e c’é tutto il tempo per annacquare il cervello prima di agire. Ma fino a che punto era conveniente rimanere sballato quella notte?
Mentre sento le cellule del mio corpo aderire l’una con l’altra e strofinarsi seducentemente, mi domando: “che cosa succederà dopo?”
La morte di Merlino avrebbe davvero sconvolto il Mondo Reale e svegliato le masse di uomini schiave dello schermo? Oppure il Cartaio, di cui nulla si sapeva nel Mondo Reale, avrebbe preso il suo posto, facendo ripiombare tutti noi nella solita probabile condizione di sempre, presente fin dall’inizio dei tempi?
Più volte ho confessato questo mio dubbio a Lucy, ma lei mi ha sempre rassicurato. Credeva nel progetto e sarebbe anche morta per portarlo a termine. Ed ovviamente non poteva permettersi di dubitare di Azathot.
Chiudo gli occhi e lascio andare la presa. Subito le luci fosforescenti mi prendono per mano, accompagnandomi nelle viscere dell’entità. Galleggio per un paio d’ore sul mare delle risposte, senza mai afferrane una. Ma non sono sceso laggiù per quello. Voglio solo rilassarmi…
Un trillo sintetico mi martella i timpani. Sono le una e trentadue. La sveglia continua il suo canto di follia, ed io provo a colpirla più volte con il palmo della mano, senza riuscire a fermarla. Afferro il cavo elettrico e lo strappo con forza, portandomi dietro l’intera presa elettrica. Devo muovermi.
Mi avvicino alle portefinestre che danno sulle mille luci della città. Molto più sotto la strada brulica di gente e di auto di lusso. Merlino era un divo, oltre che a migliaia di altre cose. Lo stavano aspettando, come lo stavo aspettando io, come lo stava aspettando il proiettile ad implosione neurale caricato nel revolver di Lucy.
Una limosine bianca svolta l’angolo in fondo alla strada principale. Le una e quaranta in punto. La puntualità era alla base del successo di Merlino. La folla esulta, le luci dell’albergo vengono proiettate verso la strada, seguendo l’auto per tutto il percorso. Fuochi d’artificio esplodono all’altezza del cinquantesimo piano, poco più sotto di dove mi trovo io. Mi unisco ai festeggiamenti accendendomi un sigaretta.
Mi godo la scena, e poco importa se è fatta di percezioni reali o fittizie. Il Mondo Laterale è sfuggente, la dimensione a metà strada, la somma di tutte sensazioni. La droga, i pixel luminosi, gli stimoli neurali; una miscela straordinaria di vita e non vita.
Seguo con gli occhi la figura che dalla limosine percorre il tappeto rosso davanti all’entrata dell’albergo. Indossa un impermeabile grigio e un cappello a tesa larga. Una chioma bionda gli cammina accanto, sfoggiando una pelliccia di volpe bianca. E’ Merlino oppure un altro stramaledetto sosia sintetico? La Rete ne aveva già uccisi due, e quelle missioni erano costate molti uomini alla resistenza. Non potevamo permetterci di fallire ancora.
Getto il mozzicone ancora acceso sulla moquette della stanza, ma lo spengo col piede, provocando una bruciatura che non piacerà affatto agli addetti alle pulizie. L’alterazione dei liquidi è quella giusta. La droga circola facile attraverso le mie vene, sollecitando le percezioni opportune, lasciandomi comodamente sul ciglio del Mondo Laterale. Il Gatekeeper è pronto ad agire.
Esco dalla stanza e mi dirigo velocemente verso gli ascensori. Mi basta sfiorare la Centrale con un pensiero per sapere in quale cabina si trovi il nostro obbiettivo. Mi accosto alla porta di metallo e aspetto che Merlino si avvicini. Ho solo bisogno di una manciata di centesimi di secondo per afferrare la sua frequenza. Ne avverto il potere, la sagoma, l’estensione. Merlino è una distesa infinita di materiale da costruzione, un involucro di mondi e di esistenze. No, non è un andrososia, è proprio lui.
Mentre registro la frequenza, nella speranza che non si accorga di niente, riesco anche a definire l’entità della sua compagna, che in ginocchio davanti a lui è impegnata in un fellatio. Lei si che è sintetica; squillo di settimo livello. Roba di classe, Made in Osaka. Ringrazio la sua distrazione sessuale, che con tutta probabilità mi ha salvato la vita.
L’ascensore si ferma al 55esimo piano, proprio sopra di me. Passa qualche secondo prima che la porta si apra. Li sento entrambi ridacchiare, mentre percorrono il corridoio in direzione della camera di Uther. La porta viene spalancata e la stanza li inghiottisce.
Ora è il turno di Lucy. La sfioro mentalmente avvertendola che il campo è libero. Provo un certa eccitazione a penetrare la sua mente, qualcosa di infinitamente più complice di una semplice scopata. Lei mi risponde che è pronta, e afferra la registrazione della frequenza prima ancora che gliela porga.
Funziona così. Il cyberworld e la realtà si congiungono da qualche parte in un punto indefinito, su frequenze che non sottostanno a leggi fisiche, ma che soffrono gli sbalzi chimici dei soggetti. La droga è il mezzo per unire i due mondi, ma le brecce sono sfuggenti, e il loro attraversamento può risultare fatale.
Entro nell’ascensore e salgo al piano superiore. Davanti a me si apre un corridoio identico a quello del piano di sotto. Luci calde e soffuse, un tappeto ricamato di assurde geometrie, due file di porte chiuse color verde scuro. La mia ha una targhetta di ottone che segna il numero 5521.
Il brusio che proviene dall’interno è lontano, ma mi rassicura. L’atmosfera sembra essere tranquilla. Busso piano tre volte, e la porta si apre quasi subito. Rufus mi guarda con due occhi sballati, puntandomi la calibro 42 all’altezza della fronte. Ci sono abituato ormai.
«Smettila Rufus con queste stronzate. Fammi entrare!»
Lui preme il grilletto e sento il click esplodermi nella testa. Il cuore si ferma solo un attimo, poi rispondo allo scherzo con una risata forzata. Rufus è piegato in due dal ridere, ma mi lascia entrare e chiude la porta alle nostre spalle.
L’ingresso della suite è ampio e impacchettato in una vistosa carta da parati bordeaux. Rufus mi chiede se ho finito i miei confetti, ed io gli rispondo che sono in circolo e che tutto non potrebbe andare meglio. Lui sorride con i suoi denti placcati e butta giù una capsula di Dortan, equilibratore di percezione. È di guardia e non si può permette di stare fuori.
«E’ arrivato?»
«Di questo non ti devi preoccupare. Il piano di sotto è sgombro?»
«Si. Tutto a posto!»
«E come stanno i livelli? Siamo puliti?»
Rufus parlava del Mondo Laterale. Io ero di guardia anche laggiù.
«Un paradiso incontaminato» gli rispondo, mentre sono quasi sicuro di essermi trasformato in un’ameba. Galleggio tranquillamente in un liquido celeste.
Rufus ridacchia e si accende una sigaretta. È in quel momento che gli affondo il tagliacarte nella gola.
È il tagliacarte dell’albergo, lungo, sottile e lucente. Sul metallo risalta l’incisione “Joice Hotel”. Penetra facilmente i tessuti mollicci del suo collo, ma devo strappare con forza per riuscire a recidere la giugulare. La carta da parati bordeaux non sembra subire un grande danno, e mi fermo a pensare che forse il direttore dell’albergo ce l’aveva messa apposta.
Poso il fagotto di carne a terra senza fare rumore, poi mi avvicino alla porta che da sulla stanza. Sento distintamente la voce di Uther e quella di Janice, la sua compagna. Merlino è troppo distante per riuscire a percepirlo, e non oso neanche provarci. In questa situazione si accorgerebbe subito della mia presenza.
Non posso attendere oltre. Non ho la certezza che il nostro uomo si trovi nella stanza, ma non posso rischiare che qualcuno si accorga di Rufus. Così dico a Lucy di tenersi pronta, perché le danze stanno per incominciare. La sento augurarmi buona fortuna mentre spalanco la porta.
La sorpresa negli occhi di Uther è tutto ciò che ricordo. Il resto me lo ha descritto Lucy, in quel Motel sulla statale 19, dopo che ci eravamo scopati fino a perdere conoscenza.
Lei era passata dentro di me attraverso il varco che avevo creato. Era stata abile nel freddare prima la guardia, poi a colpire Merlino con il proiettile ad implosione neurale. Le urla delle donne le ricordavo vagamente, mentre lei me ne parlava, e poi il rumore di vetri infranti. Uther era volato oltre la vetrata, sfracellandosi sui deliranti fan accalcati all’entrata dell’albergo.
Il distacco era durato meno di due minuti. Ancora non riesco a capire come sono riuscito a mantenere il controllo, mentre i veleni mi correvano dentro promettendomi una stravagante esistenza catatonica. Lucy è rimasta nella mia testa fino a quando non ho conquistato il corridoio. Nel passare accanto al corpo di Rufus mi devono essere venuti in mente i confetti di Dortan. Ho frugato le tasche del mio ex spacciatore e ne ho travati due.
Quindici minuti più tardi ero pulito, e camminavo tranquillamente in una strada secondaria della città. Quando ho visto l’auto fermarsi acconto a me, non mi è importato più niente. Ma era Lucy, e allora mi è venuto da ridere.
Siamo usciti dalla città e ci siamo fermati in quel Motel. Non era granché, ma il bagno era accettabile e il materasso morbido. Anche lei ha preso del Dortan prima di fare sesso.
Eravamo puliti, eravamo normali, e tutto comunque è stato fantastico.

GM Willo 2006 - Racconti del nuovo millennio

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